Mi dicevano che ero ansiosa…

Mi dicevano che ero ansiosa…

Ho 55 anni, vivo a Cattolica in provincia di Rimini e sono affetta da ipertensione polmonare idiopatica. Premetto che ho sempre adorato praticare sport come bicicletta, nuoto, palestra e lunghe passeggiate, ero molto attiva, avevo sempre qualcosa da fare. Una sera mi iniziò un attacco di tachicardia piuttosto forte, che durò alcuni giorni, così andai dal medico di famiglia che mi prescrisse un betabloccante. La tachicardia passò e il dottore mi disse di continuare a prenderlo come terapia. In seguito a quella cura il mio corpo cambiò, piano piano mi sentivo sempre più debole, non riuscivo più a fare le solite faccende, ogni volta che salivo le scale facevo una fatica enorme; così tornai dal medico, che mi diagnosticò come “ansiosa” e disse che dovevo solo stare più tranquilla. Così passarono i mesi e io ero sempre più preoccupata e stanca, ogni faccenda domestica era per me uno sforzo immane; finchè una mattina, salendo le scale, svenni. Il cuore mi batteva all’impazzata, così mio marito mi portò al pronto soccorso di un ospedale di zona; anche qui, dopo avermi visitata, mi rimandarono a casa con la diagnosi di “attacco d’ansia”. Non sapevo più cosa fare e di mia iniziativa prenotai una visita da uno pneumologo, che mi fece una visita accurata e il test dei sei minuti e alla fine disse che effettivamente avevo troppo affanno e tachicardia; mi prescrisse quindi una TAC polmonare. Quando gli portai il referto della TAC, mi disse di andare subito in un altro ospedale, dove c’era un centro di eccellenza per i polmoni. Prenotai e andai da un Professore, il quale in un primo momento mi disse che i polmoni non erano messi tanto male e che per farmi contenta mi avrebbe ricoverato in day hospital per gli accertamenti del caso. Dopo tre mesi di controlli e un cateterismo cardiaco mi fece la diagnosi di ipertensione polmonare. Non fu il nome della patologia a spaventarmi (perché non sapevo cosa fosse), ma quello che disse dopo… battendo una mano sulla spalla di mio marito gli disse che doveva farsi coraggio perché sarebbe stata un’agonia e che sarebbe durata due o tre anni. Parlava come se io non fossi stata presente! In quel momento compresi la gravità della malattia. Tornammo a casa senza alcuna cura, perché secondo questo Professore non ne esistevano. Ricordo che durante i 70 km del viaggio di ritorno sia io che mio marito non abbiamo mai parlato, tanto era lo sgomento e la paura per il futuro che ci aveva prospettato il Professore. Da quel momento mi rinchiusi sempre più in me stessa, avevo anche paura di uscire, volevo solo stare in casa, circondata dalle mie cose. Passarono i mesi e io ero sempre più depressa. Un giorno mi telefonò un mio parente e mi disse che lui era in cura per fibrillazioni da un cardiologo di Bologna molto bravo. Prenotai una visita e con tutta la documentazione andai nel suo ambulatorio; dopo la visita il cardiologo mi fece ricoverare per controlli. Mi sottoposero a diversi esami, tra cui il cateterismo che confermò il valore della pressione polmonare sistolica (PAPs ndr) a 65. Però le mie condizioni generali erano buone quindi poteva solo essere un periodo transitorio; mi dimise con l’unica prescrizione di fare ogni mese un controllo presso il suo ambulatorio. Così passarono mesi e io in effetti mi sentivo leggermente meglio; ma ancora non volevo uscire di casa per paura di sentirmi male, tanto che mio marito, decise di comprare un camper, visto che in passato avevamo già fatto delle vacanze così e ci era piaciuto tanto. Infatti da lì a poco a poco ripresi a uscire. Poi improvvisamente tutto crollò di nuovo, un affanno sempre più marcato, una difficoltà enorme a salire le scale, addirittura ad ogni scalino mi dovevo fermare, perché mi girava la testa e vedevo tutto buio. Telefonai al cardiologo, che mi fece ricoverare di nuovo e mi fece rifare tutti i controlli: tutto confermava il peggioramento della malattia. Una mattina il dottore venne al mio letto e mi disse che all’Ospedale S. Orsola-Malpighi c’era un Professore specializzato nell’ipertensione polmonare e che aveva programmato un consulto per il giorno seguente. Così il giorno dopo andai in ambulanza al S. Orsola -Malpighi e conobbi il Prof. Galiè… e dopo poche ore ero già ricoverata presso la Cardiologia del S. Orsola-Malpighi. Lì conobbi persone splendide, in primis il Prof, tutte molto gentili e comprensive. Mi spiegarono i controlli che avrei dovuto ripetere e mi dissero che, a seconda dell’esito, avrei potuto anche fare parte di un gruppo di sperimentazione per un nuovo farmaco sull’IP; io risposi che potevo essere interessata a far parte di una sperimentazione.

Mi fecero tutti gli esami, il cateterismo cardiaco e anche il test di vasoreattività con ossido nitrico. Mentre si svolgeva il test sentivo il Prof. Galiè dire da dietro la maschera che ero “una responder”. Io non capivo, ma poi mi spiegarono il significato… Pensate alla mia contentezza, le lacrime scendevano da sole, dopo tanto penare, finalmente una buona notizia. La terapia consisteva semplicemente in due compresse al giorno, l’Adalat Crono, un calcioantagonista.

La mia vita da quel giorno è cambiata, il respiro è tornato normale, le faccende di casa e le scale piano piano non sono state più un problema; certo ho imparato a fare le cose con molta più calma, ma il calcioantagonista mi ha letteralmente ridato la vita. Sono passati quattordici anni e tutto procede bene, certo ogni tanto ho un po’ di tachicardia e qualche affanno; vado ogni sei mesi al controllo e tutto sommato, sto bene. Anzi, in questi anni io e mio marito abbiamo fatto dei bellissimi viaggi in tutta Europa, e altri ne faremo, e per tutto questo ringrazio di cuore il Prof. Galiè e tutto lo staff: sono speciali, bravissimi e disponibili con un’umanità unica e… che dire di Marzia? Sempre presente alle visite, sempre cordiale e pronta a rispondere alle nostre domande. Grazie a tutti!

di Daniela Terenzi

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