Il mio errore: trascurare i sintomi…

Il mio errore: trascurare i sintomi…

Una bellissima giornata di primavera, ricca di quel sole che scalda ma non affanna. L’ideale per fare una passeggiata tranquilla sul mio lungomare. Abito a Ostia, e per quanto il mare di Roma non sia paragonabile allo spettacolare mare di altre coste italiane, io lo adoro. Vuol dire per me libertà e spazi aperti, voglia d’aria e di sole. Sì, tutto bello… ma perché non riesco a fare 10 metri consecutivi senza provare un affanno che mi costringe a rallentare e fermarmi? Cosa c’è che non va?

È questa la domanda che mi sono posto per vari mesi, troppi mesi, non trovando una risposta e francamente neanche cercandola troppo. Il mio primo errore, e forse è anche l’errore di molte altre persone affette da IP: trascurare i sintomi.

Io in quel periodo (2009-2010) li imputavo a qualche kg in più, al fatto che per recarmi a lavoro da dove parcheggiavo la macchina dovevo affrontare ogni giorno 140 gradini. È normale avere il fiato grosso – mi dicevo. Familiari e amici vedevano, chiedevano. Ma testardamente e stupidamente li rassicuravo: “tranquilli, devo solo perdere qualche chilo e torno nuovo”. No invece, niente mi aiutava a perdere peso, né diete, né passeggiate (sempre più intervallate da pause per rifiatare). Fino ad arrivare all’affanno per allacciare le scarpe da solo come se invece affrontassi la maratona di NY. E il peso aumentava ancora pur mangiando sempre meno e con più attenzione.

Ritenzione idrica – scoprirò poi. Sì, perché la nostra IP ci ingrossa le riserve neanche fossimo cammelli nel deserto! Poi una sera in casa non riuscivo neanche a spostarmi dalla poltrona alla sedia del tavolo per cenare.

“Finalmente” questa stessa sera arriva la crisi respiratoria che mi convince (a dir il vero ancora testardo, mi hanno convinto i miei genitori e soprattutto mia sorella) a recarmi al pronto soccorso. Giunto lì capisco che non riuscire neanche a dettare i dati anagrafici all’infermiera senza dovermi interrompere perché manca il respiro è davvero troppo. Mi rimettono in piedi e mi mandano a casa dopo una settimana perché Pasqua 2010 è alle porte, meglio passarla a casa che in ospedale. Ma la sera del lunedì dell’Angelo è di nuovo crisi, e stavolta viaggio in ambulanza. I pensieri che affollano la mente in quel momento non sono per me, ma sono per chi resta fuori da quelle porte metalliche delle sale operatorie. Ed è per loro, e grazie a loro, che ho cambiato registro.

Prima perla di saggezza: non trascurare i segnali del nostro fisico. Meglio fare una visita in più che rammaricarsi dopo. Mai poi nascondere la situazione per non far preoccupare i familiari, altra cosa che io facevo. Comunque sia, perduti 16 kg, di cui la maggior parte di acqua, come dicevo, si arriva alla definizione di Ipertensione Polmonare di grado severo, classe funzionale (NYHA) II. Vengo seguito per 3 anni da Roma, poi una serie di circostanze lavorative e tante chiacchierate con Adriana (non ti potrò mai ringraziare abbastanza e ti ricorderò per sempre) mi portano a una visita al S. Orsola-Malpighi di Bologna. Confermano l’IP idiopatica, anche se mi hanno spiegato che è raro uno sviluppo di questo tipo per un’idiopatica non curata per quarant’anni. Ma tant’è: ora sono in cura con Tracleer e Revatio. Prima a Roma e poi a Bologna, ho trovato la professionalità e l’umanità dei medici, importantissimi se si parla di malattie rare. E per questo è bene affidarsi ai centri d’eccellenza che hanno molta esperienza sul campo. Poi nel tempo ti accorgi che è importante avere confronti e contatti con persone nella tua stessa situazione, per non sentirsi mai soli e incompresi da chi non vive le nostre sensazioni, e in questo l’AIPI è stata un’altra manna dal cielo. È una famiglia allargata, che riesce ad ascoltare e consigliare, a raccontare (come sto facendo io ora) e arricchire con le nostre esperienze comuni. Nel mio piccolo, il consiglio che vorrei dare a chi si trova costretto ad avvicinarsi al mondo poco conosciuto dell’IP (o di altre malattie rare), che sia direttamente il paziente, un familiare o amico di chi ne è affetto, è di non isolarsi, non trascurarsi e mai rassegnarsi. Seguendo costantemente i consigli medici, la terapia e con tanta pazienza, si convive anche con la “bestia che toglie il respiro”. Il primo impatto è quasi sempre duro, ci si sente smarriti per mancanza di informazioni e perché è una malattia poco nota ai medici comuni. A volte i sintomi si trascurano, o si fraintendono. Per questo è importante rivolgersi a un centro specializzato tempestivamente. Questa la mia esperienza e la mia convinzione. Un saluto a tutti.

Dario Brizzi

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