E mi dicevano che era ansia…

E mi dicevano che era ansia…

Ho sempre avuto poca resistenza alla fatica durante lo sport e nelle camminate in montagna, ma tutto è sempre stato attribuito alla pigrizia. I primi cenni del peggioramento arrivarono nel 2005, a 20 anni, quando iniziai ad avvertire uno strano senso di mancanza di aria durante sforzi intensi. I medici mi dicevano che erano ansia ed attacchi di panico: era mancata la mia mamma nel 2002 ed ero sotto pressione con gli studi universitari e, per questo, mi prescrissero ansiolitici che io però non utilizzai perché sicura che quella non poteva essere la causa del mio malessere.

Al ritorno delle vacanze estive del 2009 mi accorsi di non essere più in grado di fare i 10-15 scalini della metropolitana di Milano e di fare molta fatica, durante la recitazione, a muovermi e parlare contemporaneamente (faccio parte di una compagnia teatrale). Tornai dal dottore che mi aveva prescritto gli ansiolitici, il quale mi confermò che tutto ciò era dovuto all’ansia e, per mia tranquillità, mi prescrisse degli esami del sangue e un ecocardiogramma per controllare le extra-sistole che avvertivo. Dall’eco scoprirono un difetto interatriale di ben 2cm e, chiedendosi come fosse possibile che nessuno si fosse mai accorto di ciò, mi proposero un ricovero immediato per la chiusura dello stesso, senza prendere in considerazione il valore aumentato della pressione polmonare riscontrato durante l’esame. Io decisi di non procedere con il ricovero perché volevo avere altri pareri.

Prenotai, quindi, una visita cardiochirurgica in un ospedale di zona dove mi indicarono l’intervento come soluzione definitiva al mio problema. Il cardiochirurgo mi spiegò con molta freddezza (se non leggerezza) l’intervento, illustrandomi come sarebbe avvenuto e dichiarandola un’operazione semplice. La sua unica preoccupazione fu quella di tranquillizzarmi sulla cicatrice che avrei avuto dopo l’intervento, rassicurandomi che avrebbero fatto di tutto per ridurla al minimo. Ricordo che uscii piangendo dall’ambulatorio, completamente basita da ciò che le mie orecchie avevano appena sentito. Decisi che non mi sarei fatta operare e che sarei rimasta in quelle condizioni.

Poi, fortunatamente, nel dicembre del 2009, grazie al consiglio di alcuni conoscenti prenotai una visita in un grande centro di Milano, dove un professore bravissimo mi chiese come mai nessuno si fosse preoccupato dei livelli della mia pressione polmonare e rimase incredulo al fatto che non mi fossero mai stati consigliati degli approfondimenti cardiologici prima di arrivare ad avere sintomi così evidenti. Per la prima volta sentii parlare di ipertensione polmonare e mi spiegò che al momento il mio problema non era il “buco nel cuore” bensì la pressione polmonare e che l’operazione suggeritami non sarebbe stata risolutiva, anzi… A febbraio del 2010, quindi, mi ricoverarono per circa 10 giorni per eseguire tutti gli esami ed impostare la terapia più adatta. Tra i vari esami eseguirono anche il cateterismo cardiaco femorale che mi procurò, oltre a 12 ore di riposo forzato a letto, ematomi e dolori vari. Alla dimissione la diagnosi fu ipertensione polmonare secondaria a difetto interatriale e mi venne prescritto il Tracleer. Programmarono quindi un controllo per la rivalutazione a sei mesi che però, a causa di ritardi, venne effettuato dopo un anno e dopo varie insistenze (ero peggiorata e mi sentivo sempre più affaticata). Finalmente mi chiamarono per la rivalutazione e, dopo un nuovo cateterismo, aggiunsero in terapia il Revatio. Con questa nuova terapia iniziai subito a stare meglio.

Durante il ricovero, un amico all’ultimo anno di specializzazione (che ora sta studiando l’ipertensione polmonare in Belgio), mi consigliò di andare a Bologna dove mi disse che esisteva un centro di alta specializzazione per l’IP.  Dopo un po’ di indecisione contattai il S. Orsola-Malpighi dove fui ricoverata nel giro di breve. Nei tre giorni di ricovero mi fecero molti esami e mi confermarono l’IP e la terapia.

Ora, nonostante un po’ di alti e bassi stagionali (il freddo e il caldo mi debilitano), sono stabile e mi sento molto più sicura e compresa. Vedo la professionalità, la sicurezza dei medici e finalmente la franchezza: mi è stato spiegato tutto ciò che potrebbe accadere e le eventuali terapie da iniziare. Molte volte a Milano avevo chiesto di spiegarmi il decorso della malattia ma purtroppo non lo avevano mai fatto: io sono fatta così, ho bisogno di sapere.

Il mio consiglio è di non arrendersi mai, soprattutto di fronte a diagnosi di “ansia” che non ci convincono. È importante vedere il bicchiere mezzo pieno, essere positivi e fiduciosi. Trovare i propri “ritmi” per riuscire a fare le cose aiuta a sentire meno i limiti e a non lasciare vincere questa malattia. Non mi arrendo davanti a ciò che non riesco a fare; certo se prima salivo le scale tutte d’un fiato ora le faccio con molta calma, un po’ per volta, ma vinco io! Cerco di continuare a fare tutto ciò che mi piace, certo con ritmi molto più tranquilli e un po’ di fatica, ma canto, faccio teatro, suono il pianoforte…

Ascoltiamo i consigli dei nostri medici: con me, tra l’altro, hanno molto insistito sul dimagrimento e devo dire che sto molto meglio. Certo, di strada da fare ce ne è ancora un po’, ma faccio già meno fatica!

Ringrazio il Dott. Marco per avermi indirizzata a Bologna, ovviamente tutta l’équipe del Prof. Galiè, la segretaria Emanuela che “mi sta dietro” e che mi ha convinto ad effettuare il primo ricovero e tutti i volontari di AIPI per il loro lavoro in ospedale ed il tempo che spendono per noi.

Cari amici, forza!

Evelina Negri

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