Se non va bene la prima volta, riprova

Se non va bene la prima volta, riprova

Salve a tutti, sono Monica di Verona. Ho 54 anni. Volevo raccontarvi un po’ la mia storia con l’ipertensione arteriosa polmonare. Ebbi le prime avvisaglie nel 2003, quando mi accorsi che camminando o facendo le scale mi venivano il fiatone e la tosse, facevo fatica a respirare e non sapevo come mai, perchè ancora non sapevo di questa malattia. Nell’agosto del 2006 ebbi un incidente, caddi da una casa in costruzione da 5 metri di altezza. A causa dell’impatto riportai un politrauma del lato sinistro: rottura del ginocchio, del femore, dell’olecrano, del bacino e fu necessario un trapianto del calcagno. Per fortuna non subii traumi alla schiena e alla testa. Per rimettermi in piedi dovetti sottopormi a 8 interventi ortopedici, 4 solo alla caviglia. 

Nel novembre del 2009 feci un’embolia bi-polmonare, ma quando l’embolia si riassorbì io non riuscivo comunque a respirare normalmente. Prima di Natale mi prescrissero l’ossigenoterapia 24 ore su 24 e specialmente quando facevo le scale o qualche lavoro in casa.

Nel giugno del 2010 ebbi una crisi respiratoria, così mi ricoverarono e, dopo tutti gli accertamenti, i medici mi prenotarono una visita a Bologna con il Prof. Galiè per luglio. Fatta la visita mi diagnosticarono immediatamente l’ipertensione arteriosa polmonare e mi ricoverarono per i dovuti accertamenti. Tra gli altri, fui sottoposta a un test del DNA, che consentì di capire che la mia forma di IP è ereditaria. Inizialmente mi fu prescritta una terapia in pastiglie (Volibris, Revatio, Coumadin) e io riuscii a vivere abbastanza bene fino al 2013 quando, viste le mie condizioni, mi proposero il Remodulin con la pompetta, ed io accettai. Nel mio caso purtroppo questa terapia risultò molto problematica, sia per via delle frequenti infezioni sia per i dolori, particolarmente intensi e prolungati. Nel 2015, con la terapia a massimo dosaggio, l’ossigenoterapia 24 ore al giorno e la malattia in avanzamento, mi fu proposto di fare lo screening per essere messa in lista d’attesa per il trapianto e a febbraio mi inserirono nella lista. 

Nell’agosto 2015, mentre stavo stirando, ricevetti una telefonata dal Dott. Dell’Amore, che mi disse “Abbiamo una donazione idonea per lei”.

Ero talmente agitata che non riuscivo a tenere il cellulare vicino all’orecchio, ma non ebbi esitazione. “Bene, si prepari e parta” mi disse. Così arrivammo a Bologna e cominciò la preparazione, ma quando ero già pronta a letto in attesa di scendere in sala operatoria mi dissero che non si poteva fare il trapianto perché i polmoni del donatore non erano sani. Così ritornammo a casa.

Il 26 febbraio 2016 mi arrivò un’altra telefonata, questa volta dalla Dott.ssa Mazzanti, la quale mi disse che c’era un’altra donazione per me. Mi preparai e, assieme a mio marito e ai miei figli, partii per Bologna.

Io ero agitata da una parte, titubante dall’altra, perché ero convinta di ritornare a casa come la volta prima. Come da routine mi prepararono e questa volta mi portarono giù in sala operatoria, poi non ricordo più nulla. Mi dissero i miei parenti che aprii gli occhi domenica 28 febbraio verso mezzogiorno, in terapia intensiva. La prima cosa che feci fu mettere la mano sulla pancia per vedere se c’era ancora l’ago del Remodulin. Quando sentii che non c’era più ringraziai il Signore e mi dissi “hanno fatto il trapianto”.

Ora sto bene, i polmoni sono a posto, sto facendo i controlli di routine e pian piano ho ricominciato a fare la vita che facevo prima. Sono molto contenta di aver avuto questa possibilità. Ringrazio di cuore tutti i medici, il Prof. Galié, il Dott. Palazzini, la Dott.ssa Manes, la tanto amata Dott.ssa Mazzanti e il Dott. Rocca per tutto quello che hanno fatto per me. Ringrazio anche le infermiere del padiglione 21 che sono state fin dall’inizio tanto carine, gentili, premurose e disponibili. Un abbraccio a tutti!

di Monica Agostini

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