L’ho letto nei suoi occhi

L’ho letto nei suoi occhi

Non potrei mai contare quante e quante volte mi sono fatto questa domanda. I primi tempi era quasi un’ossessione! “Perché è successo a me?” oppure “Perché questa malattia deve rovinarmi la vita?”. Il tempo passava, ma se pur con varianti lessicali, le domande non variavano e il mio senso di insoddisfazione nei confronti di una risposta che non arrivava mai non accennava a placarsi.

Il tempo come sempre lenisce le ferite e anche nel mio caso il trascorrere degli anni permise a questi miei quesiti di andare nel dimenticatoio, o per lo meno di affacciarsi solo di tanto in tanto, così, giusto per ricordarmi che in fondo in fondo una risposta a quelle domande ancora non era stata trovata!

Eppure le mie condizioni di salute erano migliorate, mi ero fidanzato, ero andato a convivere, mi ero sposato e avevo ricevuto la fatidica telefonata in cui mia moglie mi accennava con il fiato tagliato (… sensazione che per onor di cronaca conosco assai bene) “Forse siamo in attesa!”. Tutto stava andando come da copione, come avevo immaginato durante la mia infanzia, tutto stava andando… nonostante ci si fosse messa di mezzo la malattia e nonostante quelle domande di cui vi ho accennato all’inizio del mio racconto ancora non avessero ricevuto alcuna risposta.

E vi dirò di più: non c’era occasione, magari dopo una brutta giornata di lavoro o dopo un litigio con mia moglie in cui, galeotto uno stato d’animo negativo, quelle fatidiche domande ritornavano a colonizzare i miei pensieri con tutto il loro strascico di ricordi generalmente non così piacevoli.

Per fortuna il tempo inesorabile passava e la pancia di mia moglie cresceva, Maria Ginevra era pronta a nascere e i fatti stavano rispondendo a una domanda che nel lontano 2004, a Venezia, in occasione del Primo Congresso Mondiale per l’Ipertensione Polmonare, rivolsi al Dott. Boggian: “Riuscirò mai a diventare padre?”. Ancora continuo a chiedermi come mai un ragazzo di appena 18 anni, affetto da una malattia così grave, tra un milione di possibili domande da rivolgere al proprio medico in merito al proprio oscuro futuro potesse scegliere proprio quella domanda; forse è proprio vero che il nostro destino chissà dove è già scritto da chissà chi… La cosa più bella fu la risposta di Giulio che sorrise con la bocca e con gli occhi e muovendo la testa mi disse: “Certo! Ma non avere fretta!”.

A pochi giorni dalla nascita di Maria Ginevra la tensione era tanta e nessuna delle mie vecchie brutte domande aveva modo di penetrare per nemmeno un istante tra le fessure dei miei pensieri, ricordo con netta chiarezza l’ultimo esame dal ginecologo che sorridendo e guardando me e Roberta, con neanche troppe parole, ci ha fatto capire che la bimba era sana e tutte le rilevazioni che aveva fatto davano esito positivo. Volevo sapere solo quello, non mi interessava altro!

Finalmente il tempo stava scadendo, siamo andati in ospedale e ci hanno ricoverato l’8 settembre, facendoci intuire che la bimba sarebbe nata a breve. Invece abbiamo soggiornato il 9, il 10 e l’11 settembre, ma la piccola non si muoveva… poi il 12 (per chi è credente, giorno del Santissimo Nome di Maria) la piccola ha deciso di farsi sentire intorno alle 9:30 e di farsi vedere per la prima volta alle 13:30 in punto! Era nata MariaGinevra.

Inutile dirvi il carico emotivo che porta un simile evento nella propria vita, per i genitori che lo vivono in prima persona, ma anche per tutti i parenti che sono loro vicini.

Siamo tornati a casa e la vita ha ripreso piano piano i suoi ritmi, scanditi dalle poppate, dai pannolini e per fortuna da poche “notti bianche” in quanto la piccola è un vero e proprio angelo.

Sono passati da poco due mesi e domenica pomeriggio ho messo mia figlia sul divano, l’ho stesa, ho iniziato a parlarle e le ho fatto ascoltare il brano Sunrise di Allevi (che le facevo sempre sentire mentre era nella pancia della mamma), lei ha iniziato a ridere, guardandomi dritto negli occhi, con una profondità così avvolgente ed è stato in quel preciso momento che… “l’ho letto nei suoi occhi!”.

Il “Perché è successo a me?” me l’ha spiegato lei, con uno sguardo rapido e fugace, mi ha fatto capire che il mio percorso era questo, che lei aspettava me e che probabilmente io, pur non essendone pienamente cosciente, aspettavo lei. Mia figlia mi ha fatto capire in un solo istante che in fondo tutto quello che ho passato è stato un bene perché mi ha portato lì, in quel momento, ascoltando quel brano e giocando con lei in quel preciso istante; perché se tutto quello che ho passato con la malattia non ci fosse stato chissà che cosa avrei fatto della mia vita. Poi ho capito il più semplice enigma della mia esistenza, capire che per stare bene, per stare bene davvero, forse, è necessario stare male, almeno una volta, almeno un po’, quel poco che basta per ritarare i nostri principi, per apprezzare e superare i nostri limiti e per godere di ciò che realmente filtra gioia alla nostra anima.

Grazie a tutti per aver dedicato un po’ del tempo della vostra vita nel leggere le mie parole! Un caro abbraccio a tutti.

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